Quando pensiamo al cinema comunemente inteso, si fa riferimento quasi sempre al cinema di Hollywood o, se siamo patriottici, a Cinecittà. Eppure, questi due mondi non sarebbero nulla senza l'apporto che, negli anni Trenta, il cinema francese ha dato a questa spettacolare industria. Per averne prova certa e inconfutabile, basti constatare che il cinema “di racconto” o “narrativo”, come viene definito oggi, è nato nella Francia degli anni Trenta, con quello che i critici cinematografici definiscono realismo poetico. Questo particolare movimento culturale prese piede proprio nella Francia del primo dopoguerra quando, cioè, si sentiva una profonda volontà di cambiamento e di rinnovamento sia intellettuale sia, soprattutto, sociale. Da questo punto di vista si potrebbe definire il realismo poetico francese alla stessa stregua del neorealismo italiano: un movimento culturale che ha portato al rinnovamento delle tecniche narrative e descrittive della cinematografia. Ciò che più colpisce, però, è che il realismo poetico francese abbia finito con il condizionare pesantemente il cinema hollywoodiano, che proprio negli anni Trenta subisce una delle rivoluzioni più epocali della sua storia.
Esponenti di spicco del realismo poetico sono, senza ombra di dubbio, Jean Renoir e Jean Vigo. Il primo ha dato un contributo fondamentale al cinema francese, trainandolo verso il cinema moderno grazie all'uso di particolari accorgimenti tecnici quali l'uso della soggettiva realisticamente resa. Nei suoi due film più importanti (“La Grande Illusione” del 1937 e “Le Regole Del Gioco” del 1939) si notano in particolare due accorgimenti tecnici davvero notevoli: il primo è il cosiddetto “piano-sequenza”, cioè una inquadratura in movimento unica e senza tagli volta a dare maggiore soggettività e pathos alla pellicola; l'altro accorgimento tecnico – usato e abusato da Alfred Hitchcock in tutti i suoi film più famosi (su tutti “La Donna Che Visse Due Volte”, 1958) – è quello della profondità di campo.
Jean Vigo ha lasciato il segno per esser stato uno dei primi cineasti mondiali a girare i suoi film quasi esclusivamente all'aperto e senza sceneggiature. In questo modo si ottengono riprese più vere e lo spettatore è maggiormente portato a immedesimarsi nell'azione che viene proiettata sullo schermo a causa della verosimiglianza dei luoghi e delle azioni narrate (frutto di improvvisazione pressoché totale). I film più famosi di questo straordinario cineasta sono “Zéro de conduite” (1932) e L'Atalante (1934).
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