È un Nicolas Winding Refn in gran forma il regista di “Valhalla Rising”, pellicola britannico – danese del 2009 che mischia mitologia, leggende vichinghe, crociate e oscure divinità nordiche in un prodotto finale poco adatto al palato della platea italiana. Protagonista è uno schiavo muto e orbo, dotato di una forza sovrumana, che riesce a liberarsi e finisce per prendere parte a una guerra contro tribù arretrate e violente, nell’intento di cristianizzarle. Il film potrebbe essere ambientato in un periodo imprecisato localizzato, da qualche parte, fra il secolo XI e il secolo XIII. Gli esterni girati in Scozia contribuiscono a creare una collocazione che viene da definire “extra temporale”, e, in effetti, non è certo la veridicità storica l’obiettivo della pellicola e del suo regista. Forse, al contrario, è proprio l’impossibilità – o la mancanza di necessità – di voler situare in modo preciso la vicenda, da un punto di vista cronologico, a rendere così affascinante il film: quello di “Valhalla Rising” è un mondo senza tempo, che potrebbe essere un oscuro passato tanto quanto un imprecisato, e altrettanto oscuro e minaccioso, futuro.
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