Made in Italy è il terzo film del rocker Luciano Ligabue, che torna dietro la macchia da presa 17 anni dopo Da Zero a Dieci e vent'anni dopo il suo cult Radiofreccia, ritrovando l'attore che nel 1998 interpretò proprio Freccia; Stefano Accorsi, protagonista del film accanto a Kasia Smutniak. L'ambientazione è quella tipica delle canzoni del Liga e dei film da lui girati; la profonda provincia emiliana vista con un misto di disincanto e di affetto come un piccolo mondo sempre uguale a se stesso. Lo stesso discorso si può fare sui personaggi. Anche se mancano le radio private e l'eroina - ci sono però altre dipendenze, come la ludopatia – in qualche modo Made in Italy pare un seguito di Radiofreccia. È facile anche immaginare lo stesso protagonista come un Freccia cresciuto e diventato adulto, in una sorta di volo pindarico che tradisce il finale del film del 1998.
Made in Italy, la trama
Stefano Accorsi interpreta Riko, operaio di un salumicio della bassa emiliana sposato con Sara (Kasia Smutniak) e con un figlio in procinto di andare all'università. Intorno a lui ruotano una serie di amici, tra cui spicca "Carnevale" (Fausto Maria Sciarappa), il suo amico più intimo, un pittore apparentemente ottimista e fiducioso, ma dietro la cui apparente positività si nasconde il dramma della dipendenza.
Il matrimonio tra Riko e Sara è in crisi, così come è in crisi il salumificio, nel quale fioccano i licenziamenti. Il protagonista pare portare sulle spalle i problemi privati suoi, della famiglia, degli amici e quelli sociali che, partendo dalla realtà del salumificio diventano metafora della situazione più generale del paese. Una delle sequenze più significative è infatti quella dedicata ad una manifestazione contro l'abolizione dell'articolo 18 a cui il personaggio interpretato da Stefano Accorsi ha partecipato.
Rik è, volendo, l'espressione della pancia del paese, del suo disagio e del suo smarrimento più profondi, acutizzati dall'ambientazione in un contesto provinciale altrettanto profondo. Affinché prenda definitivamente le consapovelezze giuste, è necessario per lui toccare il fondo e risalire.
Il film di Ligabue: l'analisi
Certe notti la macchina è calda ma tu decidi di lasciarla in garage e di andare al cinema dove danno l'ultimo film di un regista che aveva realizzato un piccolo cult dei tuoi anni al liceo e che in realtà come lavoro principale fa il cantante; campo, quello della musica, nel quale non sarà mai stato un gigante, ma nel quale ha comunque realizzato buone canzoni, o perlomeno canzoni alle quali sei legato. Se per ogni sbaglio avessi mille lire, nessuno ti garantirebbe chissà quale vecchiaia, ma perlomeno avresti risparmiato qualcosa evitando di andare a vedere film come questo sull'onda di una certa nostalgia, investendo quelle mille lire in altro modo. Magari comprando una bottiglia di lambrusco e un sacchetto di popcorn; e non sarebbe cambiato molto, perché l'immaginario di Made in Italy di Luciano Ligabue, è quello.
E fin qui nulla di male; spesso raccontando il "piccolo" si possono affrontare tra le righe tematiche più "grandi", e comunque per realizzare un'opera riuscita non è obbligatorio affrontare i massimi sistemi o immergersi nell'attualità. Se il terzo film del rocker regista di Radiofreccia si fosse limitato a ciò, cioè a rappresentare con un misto di orgoglio e di disillusione un piccolo mondo né antico né moderno di provincia e i "tipi" che lo vivono, non sarebbe stato neanche poi così male; anzi, in quelle poche sequenze in cui rimane aderente a quel piccolo mondo il film trasmette un'innegabile e pure trascinante sincerità, dimostrazione che il Liga, quando parla di ciò, sa di cosa sta parlando. In quei momenti riecheggiano le atmosfere e le figure che avevano reso Radiofreccia un'opera riuscita e un film cult.
Il problema principale di Made in Italy è quello di voler essere un affresco dell'Italia in cui la critica più dura vuole convivere con l'affetto più profondo. Risultando incredibilmente qualunquista, didascalico e pure un po' banale. Come se fossero messe in scena le discussioni e i "piove governo ladro" detti davanti al bancone del bar gestito da Mario. Ligabue vuole raccontare la "pancia" della nazione attraverso la vicenda sulla carta emblematica di un operaio di un'azienda produttrice di salumi della profonda provincia emiliana; tra licenziamenti, insicurezze economiche e sociali e crisi familiari e private, che lo accomunano alle persone a lui più care, il protagonista vivrà il classico percorso di crisi e di rinascita. Percorso che, didascalicamente, pare voler essere una metafora dello stato della nazione e soprattutto un insegnamento per uscire dalle secche in cui l'Italia pare essere bloccata, ribadendo l'amore per il bel paese – come molte delle tematiche affrontate sacrosanto di per sé e trattato in maniera fastidiosamente qualunquista – in un finale zeppo d'orgoglio e d'affetto.
Made in Italy si presenta così come un titolo "double face", da leggere sia in senso negativo, che in senso positivo, sia come denuncia che come orgoglioso senso d'appartenenza.
In realtà, a livello sociologico e – volendo - contestualizzandolo al periodo pre elettorale che stiamo vivendo, il film di Luciano Ligabue può pure essere interessante se letto appunto come documento che intercetta il malessere e lo spaesamento della cosiddetta pancia del paese. Questi spunti non vengono però minimamente rielaborati né approfonditi in una maniera che vada oltre l'appunto qualunquista, e ad ogni modo ci sono errori e ingenuità di grammatica cinematografica che renderebbero vane l'analisi politica e sociologica più raffinate. Si veda, per esempio, come Ligabue sembri pensare che la regia sia fatta di continui movimenti di macchina, che risultano però talvolta inutili e talvolta poco fluidi, e spesso entrambe le cose.
Voto 4,5
Frase:
è un buon compromesso tra le tue scelte e le scelte della natura
Fonte foto https://www.facebook.com/MadeinItalyilfilm/
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