Hernan Zin, corrispondente di guerra, documentarista e scrittore di origine argentina, ha viaggiato in oltre 40 paesi, ha raccontato altre volte la guerra con La guerra contra las mujeres , nel 2007 ha scritto un libro molto politico Rain on Gaza per il quale ha ricevuto molte critiche, dichiara alla fine della proiezione del suo documentario Born in Gaza al RIFF Festival di Roma.
“I bombardamenti, il trambusto, il sangue, le notizie, i numeri dei morti e dei feriti, sono modi di raccontare la guerra che ho già affrontato, ma questa volta volevo mostrare il conflitto come non era mai stato fatto prima. Non volevo cogliere la guerra “superficiale”, visibile, ma mostrare i segni che questa lascia ben oltre le ferite. Cosa succede dentro alle persone.“
“Volevo raccontare la guerra senza la guerra. Mentre ero a Gaza, da solo, in costume da bagno, immerso nell’acqua a girare le scene in mare con lo scuba diving pensavo che fosse un’idea pazza e da sotto i loro elmetti, protetti dai giubbotti antiproiettili, anche i giornalisti che mi vedevano, pensavano che fossi pazzo.”
“Ma quando ho saputo dell’attacco nel 2014, ho mollato il film che stavo girando in Colombia, mi sono precipitato a Gaza da solo, ho girato per 5 giorni e poi per altri 5 giorni dopo tre mesi ed ho montato tutto in tre settimane: avevo fretta di finire, perché il mondo dimentica in fretta.”
Di tutte questa velocità, di tutta questa fretta, nella pellicola non c’è traccia. Il documentario ha un ritmo inaspettato per l’argomento che tratta. “Slow motion per fermare il tempo”. Il tempo della guerra che viene raccontato, non è quello della notizia giornalistica, ma è il tempo delle vittime.
La guerra attraverso i loro occhi è una testimonianza potente; quello che colpisce di più è che questi occhi con sguardi adulti, appartengono a bambini che non hanno ancora compiuto dodici anni. Parlano con voce sicura, senza lacrime raccontano della morte dei famigliari (padri, madri, sorelle e fratelli).
Costretti a crescere velocemente, mentre qualcosa dentro di loro si è spezzato, fermato e fissato nel momento del trauma.
Mostrano senza esitazione i segni che hanno sul corpo, ferite, proiettili, mani con tendini recisi, ma il dolore, quello vero è dentro e non guarisce:
“Alcune cose le dimentichi, ma tornano nei sogni. Siamo tutti traumatizzati dalla guerra.”
“La sofferenza ci ha fatto impazzire.”
“Aiutatelo, continua a vedere bambini morti ogni giorno.”
Immagini crude, nessun giudizio politico o morale, resta solo un senso d’impotenza e di ingiustizia per l’infanzia negata dei bambini di Gaza.
“Vorrei essere come ogni altro bambino al mondo, senza paura.”
Documentario che una volta di più ci racconta del dramma della guerra e di chi veramente paga la sofferenza di questa tragedia, i civili, soprattutto i bambini.
Federica Tasselli
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