Il periodo che va dal 1918 alla fine degli anni Venti corrisponde, in Russia, a quella fase in cui il cinema si proponeva, come ogni altro aspetto della vita, di rinnovarsi per rinnovare la società, nel più ampio quadro della rivoluzione socialista.
È infatti l’epoca del cinema russo d’avanguardia, che si ispira grandemente al futurismo italiano. Per i futuristi russi, però, lo scopo ultimo non era quello di estetizzare la vita, bensì di celebrare la modernità intesa soprattutto come l’ideale rivoluzionario. Per questo motivo, si creò presto un movimento futurista nazionale sovietico.
I cineasti e teorici sovietici volevo distanziarsi nettamente dal cinema inteso in senso filo-americano, ovvero dal film come prodotto commerciale ed ennesimo strumento di una società capitalista e consumistica. Nasce così un rifiuto verso il cinema tradizionale, che implica la passività dello spettatore nel momento della fruizione del prodotto-film. Secondo i sovietici, lo spettatore deve essere invece attivamente coinvolto.
La teoria più sovversiva per il cinema sovietico del tempo fu probabilmente quella del cine-occhio, lanciata da Dziga Vertov nel 1925: anche ciò che sembra più banale, se rivisitato e riproposto da un punto di vista cinematografico diventa nuovo, sconosciuto, intrigante e appassionante.
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