La segretezza, le origini perse in un passato leggendario, la ritualità e le profonde contraddizioni etiche: tutte caratteristiche che appartengono al patrimonio genetico della Chiesa cattolica e che contribuiscono in maniera innegabile ad aumentare il fascino di questa complessa struttura millenaria.
Simbologie e allusioni sembrano ammiccare alla curiosità ingorda dell’arte che, tra omaggi canonici e reinterpretazioni provocatorie, ha dedicato molti dei suoi sforzi ai personaggi della cristianità. Santi, frati, suore e molti papi.
Il cinema, laico tra i laici, ha svolto in questo senso un ruolo spesso divulgativo, ponendosi nei confronti del pubblico come strumento d’informazione. Molte, in effetti, sono le biografie cinematografiche di papi che si sono contraddistinti per vizi e virtù straordinarie, concretando la figura religiosa nel personaggio storico.
E’ forse nell’ultimo decennio che la narrativa cinematografica ha cominciato a prendere in considerazione l’idea di rimodellare la propria dialettica, sostituendo il racconto biografico con la storia di fantasia.
Non è più il nome reale il perno del racconto, ma la pura e semplice idea di un essere umano che diviene capo e guida dei cristiani, che si scontra con l’inviolabilità delle convenzioni vaticane e che s’interroga sulla complessità del proprio compito.
Per coerenza e valore d’attualità non si può non far riferimento a “The young Pope”, la nuova serie televisiva che Sky e HBO hanno commissionato al talento di Paolo Sorrentino.
Poco si può dire in termini riassuntivi dato che la programmazione è arrivata solo alle prime quattro puntate, ma già dai primi duecentoventi minuti sono emersi i caratteri che probabilmente regoleranno lo sviluppo della serie.
Lenny Belardo è un cardinale americano di quarantasette anni che viene, forse inaspettatamente, eletto al soglio pontificio; la personalità del nuovo papa è a dir poco instabile, minata da forti eccessi autoritari, tendenze dispotiche ed incertezze riguardo la propria fede.
Forti sono i contrasti con il cardinalato e con il segretario di Stato della santa sede, ed è attraverso questi duelli che si smaschera la personalità e la psicologia dell’uomo prima del papa.
E’ plausibile quindi ipotizzare che tutta la narrazione giocherà sulla dimensione interiore di un personaggio già complesso per sua natura, che si trova costretto ad amplificare i propri tormenti a causa dell’enorme responsabilità ereditata.
Non si potrà essere accusati di tendenziosità nel voler vedere in quest’ultima fatica di Sorrentino, almeno un piccolo ricordo di quello che fu nominato nel 2011 come miglior film dell’anno dai Cahiers du Cinema, il pluripremiato Habemus Papam di Nanni Moretti.
Anche in quel caso un’esistenza fragile ed incerta veniva posta difronte all’obbligo di guidare la comunità religiosa più grande del mondo, senza aver tuttavia mai risolto i propri conflitti emotivi.
Ecco dunque che, provocatoriamente, il nuovo papa viene affiancato da uno psicoterapeuta, incapace (date le assurde costrizioni imposte dal vaticano) di guidare con efficienza l’uomo verso la risoluzione del problema.
Il percorso del cardinale Melville sarà quindi battuto in completa solitudine, intervallato da fugaci visite ad una nuova ed ignara psicologa che diagnosticherà al neo eletto un trauma affettivo risalente al periodo infantile.
Due personaggi, quello di Sorrentino e quello di Moretti, decisamente antitetici: da una parte un orgoglioso, autoritario, scaltro ed attraente papa moralizzatore, dall’altra un uomo sulla via della vecchiaia mite e spaesato, così docile nella sua incertezza da suscitare commozione.
Nella loro diversità è possibile comunque rintracciare la comune volontà degli autori di prescindere il ruolo istituzionale e scavare così intensamente nella dimensione privata dell’uomo in quanto anima e inconscio, da trovare il seme dei loro tormenti.
Non è possibile sapere, almeno per il momento, dove ci condurrà la storia di Papa Belardo, ma ricordiamo invece ancora con grande stupore, il valore profetico del film di Moretti, capace di anticipare di ben due anni la rinuncia “al ministero di vescovo di Roma, successore di San Pietro” di papa Benedetto XVI.
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