Ferne Pearlstein, regista e fotografa ricordata principalmente per "Sumo East and West" e per "Imelda", entrambe opere del 2003 coi quali si è aggiudicata diverse nomination e premi, torna a far parlar di sé con un nuovo documentario: "The last laugh".
Il titolo dice chiaramente qual è l'oggetto d'indagine dell'opera: "l'ultima risata", ovvero fin dove possiamo ridere, qual è il confine fra ciò di cui si può ridere e ciò di cui non lo si può fare. La regista prende il toro per le corna e sceglie di trattare la questione partendo proprio da uno di quegli eventi storici considerato un tabù per eccellenza, una di quelle cose di cui mai si dovrebbe ridere e rendere oggetto d'ilarità, ovvero l'Olocausto, la Shoah.
Pearlstein lo fa tramite il suo genere, cioè il documentario: ripercorre in modo ironico alcuni passaggi cruciali del periodo nero del nazismo riprendendo clip e spezzoni da film e perfomance, alternandoli a interviste in cui ai soggetti è stato chiesto di esprimere la loro opinione proprio su tale tematica. Oltre a ciò, gli intervistati non erano scelti casualmente, bensì comici professionisti, leader ebrei e anche un reduce dei campi di sterminio.
Le risposte date dai soggetti sono sempre diverse: ognuno ha parametri differenti che tendono a portare la linea di confine talvolta più avanti, talvolta più indietro. La regista è brava nel non scegliere una strada: non esprime mai un proprio punto di vista nè dà segni di preferenza per una risposta fornita dagli intervistati. La domanda del film, quindi, resta aperta: la questione è ancora irrisolta e dev'essere lo spettatore a cercare di rispondere, riflettendo criticamente sulla questione e valutando tutte le posizioni fornite dal film.
Il documentario di Pearlstein è, quindi, più attuale che mai visti gli ultimi eventi che hanno coinvolto gli attacchi terroristici in Francia, scaturiti dalla satira della rivista Charlie Hebdo, di cui si è di nuovo parlato ultimamente dopo le vignette pubblicate da tale giornale riguardo il terremoto di Amatrice, le quali hanno fatto scoppiare un'accessa discussione sui social italiani proprio riguardo al quesito posto dal film.
In conclusione, facciamo due note: la prima è che nel documentario c'è spazio anche per un notissimo film italiano, "La vita è bella", capolavoro di Roberto Benigni che proponeva una storia sui campi di sterminio vista dagli occhi giocosi e innocenti di un bambino. Il regista italiano è stato criticato da varie voci proprio per l'atteggiamento apparentemente superficiale con cui trattava qualcosa di tremendo come l'Olocausto., La seconda nota è legata alla prima: ciò di cui parla "The last laugh" non è la possibilità e legittimità di ridicolizzare eventi umanamente terribili, bensì il poter ridere di tali fenomeni cercando di sdrammatizzarli. Significa tentare di alleggerire qualcosa che leggero non è, ma che forse è troppo pesante da poter essere sostenuto se preso solamente con un approccio drammatico e pessimistico.
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