Eric, impiegato delle poste britanniche, ha una situazione familiare complicata: sposato in seconde nozze con una donna totalmente assente, ha un pessimo rapporto con i figliastri Jess e Ryan. Trent'anni prima ha inoltre lasciato la prima moglie Lily con la figlia Sam in fasce; sebbene con quest'ultima sia rimasto in buoni rapporti, non ha mai più rivisto Lily, che è rimasta comunque l'amore della sua vita.
Quando Sam chiede ad Eric di badare alla figlia neonata, mentre lei lavora alla sua tesi di laurea, l'uomo va nel panico all'idea di rivedere la sua ex.
In questo momento così critico, compare magicamente Éric Cantona, giocatore del Manchester United e idolo indiscusso di Eric, che si appresta a fargli da confessore e guida spirituale.
Il rapporto con Lily si ricostruisce pian piano, riportando a galla rancori e ricordi, ma Eric deve risolvere problemi ben più gravi con Ryan.
Il mio amico Eric mescola sapientemente il dramma familiare a sfondo sociale con la commedia, il cui ritmo è sostenuto dallo strampalato gruppo degli amici del protagonista, non semplici appassionati di calcio ma veri e propri sostenitori del concetto del “gioco di squadra”; senza dimenticare lo stesso Cardona (nei panni di sé stesso), oratore di discorsi e proverbi in un bizzarro Franglish al fumo di marjiuana, di cui non è ben chiara la natura: fantasma? Alter-ego di Eric? O semplicemente un prodotto della sua immaginazione (alterata)?
Quello che Ken Loach ci regala è un film piacevole, divertente e ottimista, con un lieto fine tenero e colmo di speranza, che prosegue la sua poetica legata alla situazione della working class britannica (già ai tempi di Poor Cow, opera legata al Free Cinema degli anni Sessanta) e soprattutto ai drammi familiari, storie di crisi e riappacificazioni.
Ma Il mio amico Eric è soprattutto un invito a reagire, a lottare per rimediare ai propri errori e raggiungere i propri obiettivi, proprio come in una partita di calcio.
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